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domenica 29 aprile 2012

Qualcuno vuole comprare lo "Scaramouche"?

Interno dello Scaramouche
Da qualche giorno in rete gira l'annuncio della cessione/vendita del locale dove fino a qualche anno fa c'era lo Scaramouche Cave, rinomato ristorante levantese dove non era difficile incontrare anche personaggi famosi, vuoi perché ubicato in un caruggio nella zona più antica del paese e quindi garanzia di discrezione e riservatezza.
Il gestore era conosciuto per i suoi piatti alla fiamma, specialità della casa.
Qui di seguito riporto un'interessante recensione di tale Federico Ferrero redotta quasi 5 anni fa. Eccola:

Scaramouche Cave - Levanto (SP)

Di questo ristorante non sarei stato in grado di scrivere una sola riga con obiettività fino allo scorso anno. Motivo: ci finii dentro una prima volta per caso, vagando nel budello di Levanto alla ricerca di una qualunque cucina onesta capace di levarmi l’appetito con gusto. Rassegnato a far la coda in una pizzeria di quart’ordine, nell’attesa passai per una viuzza e guardai oltre la soglia di un minuscolo locale. Rimasi fulminato dall’ambiente, dalla verve del padrone della baracca (anzi, della cava) e prenotai al volo. Quella sera tutto ciò che usciva dal tavolino a rotelle della cucina flambé mi pareva cibo degli dèi.
Il ristorante è un ex locale notturno. Una cava. Il cognome del titolare è Scaramuccia et voilà, anche se la Francia non è così vicina: Scaramouche Cave. Il figlio del precedente proprietario lo convertì da luogo di ritrovo per marpioni della nottata ligure – questa è l’idea che mi son fatto, negli anni Sessanta non frequentavo il litorale di Levante – e ne ha fatto una base culinaria (nessuna allusione, chiaro?) dopo aver imparato a domare filetti e gamberoni sulla fiamma viva in anni di lavoro sulle navi da crociera.
Le specialità della casa? Presto dette: cucina alla fiamma. Carne, pesce, verdure e frutti. Tutto, o quasi, flambé. Massimo, istrionico e furbacchione, una somiglianza inquietante – anche nella parlata - con Claudio Bisio, ti si piazza davanti al tavolino e, tra un aneddoto e una battuta (mi ha sempre chiamato sciùr, convinto fossi di Milano) cucina carne, pesce, frutta e verdura con fiammate da circo. Materie prime buone, ma l’occhio è il primo a essere appagato: facesse tutto nel retro, i piatti perderebbero quota.
L’antipasto di gamberi sull’avocado è buono. Il salmone affumicato servito come antipasto è di qualità. Gli spaghetti al salmone non sono male, benché tagliare il pesce a cubetti non aiuti più di tanto a unire pasta e pesce nella forchettata. Gli spaghetti Scaramouche, con un tocco di fuoco nel condimento, risultano invece pesanti. Mai provata la paella alla Valenciana, perché un locale così, a un tiro di schioppo dalle Cinque Terre, non mi ha mai ispirato scelte calienti. Ricordo bene una tavolata, però, che si vide arrivare un trionfo di crostacei in un paiolo enorme. Il gusto non so, la vista meritava.
Carla Bruni o un jazz soave, tutta musica della collezione privata Scaramuccia, accompagnano ai secondi. Il filetto Scaramouche è gustoso e appetitoso. Non sfavillante, per restare nella metafora. Di livello medio-alto quelli al pepe verde e al Madeira. Il resto (fondue bourguignonne – la ragione della paella valenciana vale anche per la cucina di Borgogna – gli scampi all’americana e la sogliola alle mandorle) non l’ho provato. I dolci? La banana flambè è allettante, la pesca caramellata col gelato alla fiamma, per contro, non mi ha entusiasmato. Le crêpes suzette, mi pare con Rhum e Maraschino, ti vanno nel piatto ancora fiammeggianti ma del gusto conservo ricordi scarsissimi. Forse non erano eccezionali, o forse ho poca memoria storica.
Dei vini non ho parlato, perché è meglio. Un locale così rutilante e scintillante, romantico e seducente non può, ripeto, non può fregarsene così della carta dei vini. Manco ce l’hanno, per il vero. Fingendomi del tutto imperito, in una delle prime visite mi sono visto recapitare un rosé ligure, mi pare di Ormea, ricaricato all’inverosimile e ben poco degno di quella tavola.
Massimo è iperattivo, prende le ordinazioni, cucina, gestisce praticamente da solo la sala, ehm, la cava. Le sue aiutanti, una delle quali sembra fosse la di lui fidanzata, non sempre si rivelano all’altezza e, a dispetto dei pochissimi coperti, se i piatti da produrre si concentrano un poco – anche quelli che non devono passare per la prova del fuoco – c’è da aspettare. Al pian terreno ci sono due tavoli particolarmente carini; sopra, fatta eccezione per quelli che danno sul balconcino, si rischia di mangiare coricati o quasi. Se non lo sai e non chiedi un bel tavolo, insomma, mister Fuochista ti sistema in quello in fondo, dove basta uno starnuto per prendere sonore capocciate sulla volta a mattoni del 1400.
Scaramouche costa piuttosto caro: come il combustibile, del resto. Per un antipasto, un primo, un secondo e un dolce, vino escluso, si possono tranquillamente spendere 60 euro. Senza indulgere alle offerte di “due ostrichette per il sciur e la sciura”, che fanno lievitare esponenzialmente il conto. Visto con gli occhi dell’amore è un luogo incantevole. Con quelli dell’avventore qualunque, un ristorante interessante che vale una visita se si passa di lì – anche per la penuria di concorrenza – ma che paga qualche lacuna di troppo per albergare nel cuore. A meno che non siate in compagnia di una dolce fanciulla disposta a innamorarsi di un ristorante a prescindere dalla cucina: in questo caso andateci, e di corsa. Questa la mia risposta definitiva. La accendiamo?
Voto: 6,5/10

Provato l’ultima volta il 26 luglio 2007

recensione di Federico Ferrero

Chissà se qualche operatore locale o delle zone limitrofe sarà interessato e porterà in vita questo pezzo di storia di Levanto.
La cifra richiesta è di 100.000 euro, io non essendo un ristoratore non so valutare se sia un affare o meno, comunque se qualcuno fosse interessato può cliccare sul link qui sotto e approfondire l'argomento.
http://www.kijiji.it/annunci/franchising-e-cessione-attivita/la-spezia-annunci-levanto/cedesi-ristorante-storico-a-levanto-zona-5-terre/25337595

2 commenti:

  1. avrebbe dovuto andare in questo locale molti anni prima, quando a gestirlo era il mitico bruno cannetta, ovvero il padre di massimo l'attuale gestore, tutta un'altra cosa... la recensione sarebbe stata molto diversa, non avrebbe trovato un tavolo libero cosi velocemente, il vino sarebbe stato il migliore, e il prezzo di vendita molto ma molto piu alto... quel locale e' stato per anni un vero fiore all'occhiello per levanto.

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  2. Posso solo confermare le parole di anonimo.... A fine Anni '70 e per tutti gli anni '80 non ho mai mancato di fare qualche sera allo Scaramouche e non mi ha mai deluso...

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